Tuiavii di Tiavea era un saggio capo delle isole Samoa che, nel secolo scorso, compì un viaggio in Europa. Le impressioni di Tuiavii di Tiavea furono raccolte da Erich Scheurmann, un artista tedesco amico di Hermann Hesse, fuggito nei mari del Sud per evitare la Prima Guerra Mondiale, e pubblicate in un libro, “Papalagi“. Papalagi è dunque la storia di questo viaggio, alla scoperta di usi e costumi dell’uomo bianco, il Papalagi appunto, ed è un vero e proprio trattato etnologico sulla tribù dei bianchi, esilarante e atroce. L’intenzione di Scheurmann era quella di far conoscere ai bianchi illuminati con quali occhi erano visti da un uomo ancora profondamente legato alla natura. Parole pesanti che servirono al Capo indigeno per mettere in guardia il suo popolo dal fascino pericoloso dell’Occidente, parole di un’attualità sconcertante oltretutto. Parole che mettono a nudo la nostra povertà morale e intellettuale, la nostra vanità, l’assurdità del nostro correre, del nostro accumulare in un crescendo degno del migliore melodramma. Eppure il racconto non è nient’altro che lo specchio amplificato e ridicolizzato delle nostre vite quotidiane. Una visuale che anche noi dovremmo iniziare seriamente a prendere in considerazione.