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A Roseto una storia infinita (la Riserva naturale Borsacchio)

Ricevo da Franco Sbrolla e rendo pubblico.


Capitolo 1: Considerazioni ed avvenimenti storici nell’area Tordino – Vomano
Con l’approvazione della legge n. 6 dell’8 febbraio 2005, veniva istituita dalla Regione Abruzzo la “Riserva naturale regionale guidata Borsacchio”, e sembrava chiudersi definitivamente una telenovela che aveva fatto scorrere fiumi d’inchiostro.
Come tutti sanno non è andata così, e allora, per offrire un ampio resoconto di fatti e misfatti che, altrimenti, svanirebbero nell’oblio, mi accingo a raccontare una storia che parte da lontano e che arriva, per il momento, fino all’inizio dell’anno 2010.
A corredo della narrazione, mi sono avvalso di documenti depositati presso l’Archivio di Stato di Teramo, di tantissimi articoli apparsi sulla stampa locale e nazionale, di servizi fotografici inediti e di riprese televisive, di manifesti e di relazioni dei vari convegni, di manoscritti e libri introvabili in quanto fuori commercio, di sentenze del T.A.R. e del Consiglio di Stato, di dichiarazioni solennemente sottoscritte e subito dopo rinnegate, di leggi dello Stato e della Regione Abruzzo, di decreti, delibere, o.d.g., verbali e ordinanze ministeriali, regionali, provinciali e comunali, ecc…
Da rosetano di origine controllata, ho ritenuto doveroso sollevare il velo sulle strategie delle lobby politiche ed economiche che, negli ultimi cinquant’anni, hanno avuto, come obiettivo, la cementificazione dell’area Cologna – Borsacchio, già protetta con la “Dichiarazione di notevole interesse pubblico” e con i Decreti ministeriali del 1963 e del 1969.
Ma questa è anche la storia della nostra gente, che ha voluto, e continua a volere la conservazione dei beni storici, artistici e paesaggistici, ereditati dai nostri avi con vincolo generazionale, e di certi personaggi che, nonostante le apparenze, hanno dimostrato, e continuano a dimostrare di essere dei veri mercanti e farisei (e se Cristo tornasse sulla terra li scaccerebbe nuovamente dal tempio).
Questa storia infinita, sintesi di così vasta ricerca, ho voluto dedicarla, con affetto e nostalgia, alla memoria di un amico fraterno, Fernando Di Marcoberardino, missionario dell’ambiente, che il Gran Sasso chiamò alla sua corte il 17 agosto 2002.
Occorre, però, procedere con ordine ed iniziare dai primi anni del 1800.
In quel periodo, l’area compresa tra il fiume Vomano ed il torrente Borsacchio era amministrata dall’università di Montepagano, mentre la zona più a nord, dal Borsacchio al fiume Tordino, era governata dall’università di Giulia nuova.
Con varie leggi emanate nel 1806, e con quella del 24 gennaio 1807, la Riforma Amministrativa promossa dal re di Napoli Giuseppe Bonaparte, fratello del più famoso Napoleone, assegnava all’università di Montepagano l’intera area Tordino – Borsacchio, allo scopo di favorire una migliore distribuzione territoriale.
Ne seguirono, da parte dei giuliesi che si sentivano pesantemente danneggiati, diversi ricorsi portati avanti fino al termine del cosiddetto “decennio francese” (1806 – 1815).
E per ben comprendere il clima dell’epoca, ho riportato, qui di seguito, una parte della supplica ricevuta dal re il 6 gennaio 1808, a firma del sindaco Giuseppe Costantini: “L’università di Giulianova in provincia di Apruzzo ultra, prostrata a Reali piedi della Maestà Vostra umilmente le rappresenta che nella situazione de’ Regi Governi del Regno si è forse inavertentemente (sic) recato alla supplicante un danno gravissimo che con facilità ovviar si puote e si deve…
Nell’enunciata nuova situazione della giurisdizione de’ Governi del Regno si è segregata Cologna dalla supplicante, ed unita alla convicina Terra di che si distingue col nome di Montepagano, malgrado che sapeasi, e si sa che il Generale Catasto d’ordine del passato Governo, fabricatosi e poi publicatosi, comprende e la supplicante e Cologna, ch’è lo stesso dire, che amedue i detti luoghi compongono una Università, per cui l’uno non puol’ essere disgiunto dall’altro, e quando si potesse disgiungere tra l’altro sarebbe indispensabile la minorazione de’ fuochi, e che i territori tutti addetti al pascolo degli animali rimanessero communi fra la supplicante e Cologna. Ma per tenere da lungi le contese che sopravverrebbero premessa la detta segregazione ed i rispettivi irreparabili danni che ne sorgerebbero, la M. V. si ha da benignare di non approvare la detta segregazione vieppiunchè avendo formato da tempo immemorabile sin’ora la supplicante colla detta sua Villa Cologna un solo Catasto ed un solo terreno, il separarlo, viene ad importare una restrizione tale di territorio che Giulia a paragone della sua Villa abbia meno di estenzione (sic) di suolo, ed il peso de’ pesi communali (sic) sia in maniera ristretto da rendersi lieve per la villa e gravosissimo per la supplicante, la quale supplica la vostra R. Clemenza di rimettere le cose nel primiero stato. Ut Deus. Giuseppe Costantini sindaco supplica come sopra”.
La stessa supplica venne riproposta, dopo pochi giorni, dal secondo eletto facente funzioni di sindaco, Vincenzo Bindi. E’ quanto si evince dalla data di ricezione, 22 gennaio 1808.
Ciononostante, le scelte compiute in quegli anni non furono più cambiate e la fascia costiera dell’area Tordino – Borsacchio entrò a far parte della già esistente Marina di Montepagano.
Per quanto concerne l’assetto territoriale di Giulianova e di Cologna nel periodo antecedente il 1800, il vescovo aprutino monsignor Giulio Ricci così scriveva nell’anno 1590: “Giulia n
uova è posta sopra il lito del Mare con poca distantia, ed è posseduta dall’Illustrissima ed Eccellentissima Casa d’Acquaviva d’Atri, con titolo di conte, et non ha altra Villa, che Cologna, vicina al mare, tutta abitata in pagliari da Schiavoni, che nascendo ivi hanno la lingua nativa, et Italiana”.
Con il termine Schiavoni erano indicati gli slavi provenienti dalle coste orientali dell’Adriatico.
Riguardo poi al passato remoto dell’area Tordino – Vomano, il ritrovamento dello splendido elmo a fasce, del tipo Bandenhein, avvenuto nei pressi di Montepagano nel 1896, e la forte presenza di presidi goti tra Abruzzo e Marche, inducono a ritenere, come ha scritto la prof.ssa Luisa Franchi dell’Orto, che la guerra con i Bizantini (535 – 553) si svolse anche nel nostro territorio.
I Goti, popolazione germanica, erano suddivisi in due rami, ostrogoti e visigoti. Gli Ostrogoti, dopo aver varcato le Alpi nel 489, occuparono tutta l’Italia e nel 535 cominciarono a scontrarsi con gli eserciti dell’imperatore Giustiniano, comandati dai generali Belisario e Narsete.
Come racconta lo storiografo Procopio di Cesarea, testimone oculare in quanto consigliere di Belisario, nel 537 i bizantini, dopo aver conquistato Roma e oltrepassato l’Appennino, devastarono il territorio dell’attuale Alba Adriatica e, nel 538, dilagarono nel Piceno occupando, a nord Ancona e Rimini, e a sud Pescara e Ortona.
Altre fonti hanno tramandato che una delle cause della definitiva disfatta dei goti nel 553 (battaglia dei Monti Lattari in Campania), fu il divieto che essi avevano imposto al matrimonio con i romano-italici, per cui non poterono opporsi ai bizantini in blocco compatto con le popolazioni dei luoghi occupati. Scomparvero così dalla storia italiana lasciando poche tracce.
Quell’armatura, i manufatti di bronzo e rame ed i resti ossei equini, recuperati nel nostro territorio in un vero e proprio ripostiglio, sono, verosimilmente, da attribuire ad un cavaliere goto che dovette abbandonare tutto per sfuggire alle schiere bizantine.
L’elmo ostrogoto di Montepagano, impreziosito da una decorazione figurata con motivi di origine germanica quali l’aquila, simboli cristiani, tralci di vite e archi sorretti da colonne, è tuttora conservato, ed esposto al pubblico, presso il Museum for Deutsche Geschichte di Berlino.
E la prossima ricorrenza del 22 maggio 2010, 150° compleanno della nostra Città, potrebbe essere una buona occasione per indurre l’Amministrazione comunale ad impegnarsi fattivamente per riportare a Roseto, almeno in visione, quell’interessante cimelio connesso ad un’epoca storica in cui i nostri antenati italico-piceni subirono le conseguenze della lunga guerra tra goti e bizantini.
Infatti, ai disastri militari seguì una tremenda carestia e, come ha scritto Procopio: “Nel Piceno dicesi che non meno di 50.000 contadini morirono di fame”.
Nella nostra provincia, testimonianze della presenza ostrogota sono state rinvenute, oltre a Montepagano, a Civitella del Tronto e a Colle Amaro di Campli, a dimostrazione che anche nell’Abruzzo teramano si verificarono scontri, saccheggi e distruzioni.